AVVISO DI ACCERTAMENTO

L’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate

Hai una controversia con una l’Agenzia delle Entrate, Agenzia Entrate Riscossione o l’INPS per pagamento di tasse e contributi? 

Cerchi un avvocato cassazionista a Roma per il tuo accertamento fiscale o previdenziale?

Tutto quello che c’è da sapere e cosa fare quando ricevi un accertamento.

Indice

@avv.marcellopadovani

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♬ suono originale – Avv. Marcello Padovani

L’accertamento dell’Agenzia delle Entrate

L’agenzia delle Entrate potrebbe fondare il suo accertamento su molti strumenti e su molte informazioni in suo possesso.

L’accertamento è un procedimento, al termine del quale viene emesso l’Avviso di Accertamento, che è l’atto impugnabile dal contribuente.

L’accertamento è l’attività che l’agenzia delle entrate compie, talvolta con dei verbali, talvolta direttamente con la notifica al contribuente di un Avviso di Accertamento, ovvero con l’atto che indica i motivi dell’accertamento, le aliquote applicate, le basi imponibili o tutte le altre motivazioni necessarie.

Gli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate possono diventare esecutivi appena scaduti i termini per presentare ricorso, e per questo motivo vanno esaminati immediatamente con l’ausilio di un commercialista o di un avvocato, anche cassazionista se per una lite destinata a giungere in Corte di Cassazione.

Chi può effettuare l’accertamento?

L’attività di controllo e quindi lo svolgimento dell’accertamento può essere effettuato da:

  1. l’Agenzia delle Entrate (Direzioni Regionali, Provinciali e Locali);
  2. Guardia di Finanza;
  3. Uffici Doganali.

Negli ultimi anni è stato previsto anche un ruolo nell’attività di accertamento a cura dei Comuni, con la cosiddetta Compliance, ai sensi della quale i Comuni possono comunicare all’Agenzia delle Entrate eventuali anomalie rispetto alle dichiarazioni presentate.

Le garanzie del contribuente durante l’accertamento

Il contribuente gode di diverse garanzie durante l’accertamento e il mancato rispetto da parte del Fisco potrebbe compromettere la tenuta dell’accertamento in caso di contenzioso.

Tra le principali garanzie del contribuente si ricorda:

  1. gli accessi presso la sede dell’impresa devono essere limitati a effettive esigenze di controllo;
  2. all’inizio della verifica il contribuente ha diritto ad essere informato dei motivi che la giustificano ed al suo oggetto;
  3. le dichiarazioni del contribuente devono essere verbalizzate se questi lo richiede;
  4. l’accertamento presso la sede del contribuente non può durare più di 30 giorni;
  5. il contribuente ha diritto di comunicare entro 60 giorni dalla chiusura del processo verbale le sue osservazioni.

Le garanzie del contribuente vengono previste dallo Statuto dei diritti del Contribuente nonchè da una serie di leggi speciali, dirette a prevedere i limiti da rispettare nell’attività di controllo e le garanzie procedurali in favore del soggetto controllato.

Il PVC Processo verbale di constatazione

Una volta chiuso il procedimento di accertamento il Fisco deve notificare la copia del PVC processo verbale di constatazione.

Dal momento della notifica del PVC, devono decorrere 60 giorni prima che il fisco possa notificare l’avviso di accertamento.

Il PVC non è pertanto autonomamente impugnabile.

La notifica dell’avviso di accertamento prima del decorso dei 60 giorni dalla notifica del PVC comporta la nullità dell’avviso di accertamento ai sensi dello Statuto del Contribuente, ma solo se la verifica è avvenuta presso la sede del contribuente.

Se una volta ricevuto il processo verbale di constatazione il contribuente fa pervenire le sue osservazioni entro 60 giorni, l’Agenzia delle Entrate diventa tenuta a tenere conto di tali osservazioni.

Per i tributi armonizzati, affichè possa valutarsi il contenzioso occorre anche esaminare se la violazione del contraddittorio sia un vizio alla luce della “prova di resistenza”: occorre valutare l’impatto della violazione commessa dal Fisco rispetto all’esito del provvedimento, e quindi se la violazione ha compromesso l’accertamento o se meno.

Non tutti gli accertamenti presuppongono il processo verbale di constatazione.

La notifica dell’avviso di accertamento

Il procedimento di accertamento si chiude con la notifica dell’avviso di accertamento: la notifica è la consegna al destinatario dell’atto, secondo le formalità previste dalla legge per garantirne la conoscenza.

La notifica dell’avviso di accertamento può avvenire tramite pec, tramite posta, tramite messi notificatori o tramite la procedura diplomatica.

Le regole per la notifica dell’avviso di accertamento sono differenti in caso di persone fisiche o giuridiche, e ci possono essere alcune differenze rispetto alla notifica di un comune atto giudiziario.

La notifica dell’avviso di accertamento è un momento molto delicato, perchè determina il corso dei termini per impugnare questo atto. Da un altro punto di vista, in caso di accertamenti con vizi di notifica, sarà possibile valutare le impugnazioni anche anni dopo l’emissione dell’atto, recuperando la possibilità di impugnare ciò che non è stato correttamente notificato.

Il termine per la notifica dell’avviso di accertamento

L’atto di accertamento deve essere notificato entro il termine previsto dalla legge, a pena di decadenza.

Se la dichiarazione è stata presentata il termine scade il 31 dicembre del 5° anno successivo alla presentazione della dichiarazione.

Se la dichiarazione NON  è stata presentata (o è stata presentata ma è nulla) il termine scade il 31 dicembre del 7° anno successivo alla presentazione della dichiarazione.

Se si configura un reato tributario, i termini sono raddoppiati.

Se l’accertamento riguarda beni e attività finanziarie detenute in paradisi fiscali, i termini sono raddoppiati.

I termini sono poi differenti in casi particolari, come per gli accertamenti derivanti da studi di settore, su soggetti a ISA, in caso di termini in scadenza durante l’emergenza COVID ecc.

Accertamento contro il Fallimento

La sentenza n. 21333 della Cassazione, depositata il 31 luglio 2024, chiarisce che in caso di fallimento non è obbligatorio notificare l’avviso di accertamento al fallito, ma solo al curatore.

La mancata notifica al fallito non annulla l’atto ma lo rende inefficace nei suoi confronti. Gli amministratori della società fallita possono impugnare gli accertamenti fiscali anche se la curatela decide di non proporre ricorso, mantenendo il potere di impugnazione.

La Corte ribadisce che il fallito conserva la titolarità del rapporto tributario e le conseguenze fiscali possono influire sul suo patrimonio. Il termine per il ricorso decorre dalla data di piena conoscenza degli accertamenti da parte degli interessati.

Assoluzione in sede penale

L’assoluzione in sede penale pone il tema del giudicato penale in ambito tributario, e quindi sull’impatto delle sentenze penali di assoluzione nei processi fiscali.

Ecco i punti principali da considerare per comprendere il tema:

1. Prevalenza del Giudicato Penale: La sentenza penale assolutoria assume rilevanza anche nel processo tributario, allineandosi ai principi dello Statuto del contribuente e della Costituzione italiana (articoli 24, 111 e 113), che garantiscono il diritto di difesa e la tutela giurisdizionale.

2. Stabilità Processuale: Quando una sentenza penale raggiunge una stabilità processuale, questa può prevalere sugli accertamenti fiscali contrari, anche in appello o in Cassazione, senza necessità di menzionarla tra i motivi di ricorso.

3. Autotutela e Invalidità degli Atti: La normativa recente impone la rimozione degli atti amministrativi che violano o eludono un giudicato penale, tramite il potere di autotutela. L’atto impositivo può essere annullato in assenza di contenzioso, purché si tratti di fatti già assolti penalmente.

4. Eccezioni e Limiti: L’autotutela non è obbligatoria se il giudicato è favorevole all’amministrazione finanziaria, creando così un limite alla rimozione automatica.

In sintesi, l’articolo mette in luce come il giudicato penale assolutorio, supportato dalla nuova disciplina in vigore dal 2024, offra una tutela rinforzata ai contribuenti, influenzando direttamente i processi tributari e l’autotutela amministrativa.

Onere della prova in caso di accertamento

L’onere della prova in materia tributaria, ovvero su chi grava il dovere di dimostrare di aver ragione, il contribuente o il Fisco?

L’onere della prova cambia nel 2024 per come delineato dall’articolo 7, comma 5-bis, del Dlgs 546/1992.

Secondo la Cassazione (ordinanza 16493/2024), questa disposizione non si applica agli accertamenti basati su presunzioni semplici o legali e ha natura sostanziale, applicandosi ai giudizi avviati dal 16 settembre 2022.

La riforma della legge 130/2022 ha introdotto un concetto di prova specifico per il diritto tributario, richiedendo che l’amministrazione provi le violazioni contestate e che il contribuente dimostri il diritto al rimborso.

Tuttavia, la ripartizione degli oneri probatori rimane invariata per accertamenti basati su presunzioni legali e semplici. Vi sono dubbi sull’applicabilità della norma ai processi in corso, similmente alla controversia sulla non impugnabilità diretta della cartella non notificata.

Annullabile l’accertamento per il 2017 notificato nel 2024

Durante il covid difatti erano da un lato sospesi i termini per gli accertamenti, dall’altro lato i contribuenti beneficiavano della sospensione dei termini per il versamento.

Venuta meno l’emergenza e la sospensione dei termini di versamento, non si comprenderebbe la permanenza della sospensione dei termini sono a favore dell’agenzia delle entrate.

Nel consegue che l’eventuale accertamento per il 2017, se notificato dopo il 31 dicembre 2023, potrebbe essere oggetto di annullamento previa impugnazione.

Sospensione covid per la decadenza degli accertamenti secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione nel 2025 ha affrontato finalmente la questione dell’estensione della sospensione covid per la durata di 85 giorni.

La norma emanata nel 2020 si dubitava potesse applicarsi anche a tutte le annualità successive.

La Cassazione ha affermato che ’amministrazione può fruire della proroga degli 85 giorni per tutti gli accertamenti i cui termini includono il periodo 8 marzo – 31 maggio 2020 (nella maggior parte dei casi quindi la proroga verrebbe meno, ai fini delle imposte sui rediti e dell’Iva, solo a partire dalle rettifiche delle dichiarazioni anno 2019 presentate oltre il 31 maggio 2020).

La Cassazione comporta che la sospensione dei termini appare da applicare tanto ai termini di prescrizione che di decadenza.

Come si calcola la decadenza nel 2025

Il termine del 31 dicembre va integrato di 85 giorni (corrispondenti al periodo di sospensione Covid decorrente dall’8 marzo 2020 al 31 maggio 2020).

Ne consegue che le rettifiche relative al periodo di imposta 2017, che decadevano ordinariamente il 31 dicembre 2023,  considerando la proroga Covid sono scadute il 25 marzo 2024.

Ancora, il 2018, con decadenza lo scorso 31 dicembre 2024, con gli 85 giorni in più, scadrà il 26 marzo 2025.

La  prova da dare quando si impugna l’accertamento

Chi deve provare se l’accertamento è fondato o meno?

Fino al 2022 valevano le regole del diritto civile, secondo cui chi vuole fare valere in giudizio un diritto doveva provarlo.

A questo principio generale si aggiungevano tantissime eccezioni, che ad esempio facevano ricadere sul contribuente il dovere di provare in giudizio l’onere della prova ad esempio:

  1. in materia di prova della natura deducibile dei costi e quindi della loro inerenza;
  2. in materia di prova sulla provenienza delle somme oggetto di indagini finanziarie, come ad esempio sui conti correnti oggetto di accertamento.

Novità di tutto rilievo sta nella Legge 130/2022 che nel modificare il processo tributario stabilisce che:

L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato. Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o e’ contraddittoria o se e’ comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque incoerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.

Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”.

Dalle prime interpretazioni date alla normativa si ritiene che continueranno a gravare sul contribuente le prove dirette a superare alcune presunzioni stabilite da altre norme di legge, come ad esempio:

  1. negli accertamenti a carattere presuntivo;
  2. nelle società di comodo;
  3. nelle società a ristretta base azionaria.

Accertamenti per diversi anni consecutivi: quali sanzioni?

In caso di notifica al contribuenti di diversi avvisi di accertamento, riferiti a più annualità consecutive, ci si interroga in merito alla somma o meno delle sanzioni.

In particolare si può parlare di “continuazione tributaria” ai sensi dell’art. 12 co. 4 d.lgs. 472/1997, quando la stessa violazione si è ripetuta per diversi anni.

In tal caso secondo alcune sentenze le sanzioni non si dovrebbero sommare (ad esempio € 10.000,00 euro di sanzione per 5 anni consecutivi) bensì dovrebbe applicarsi una sanzione unica, aumentata fino al triplo.

Non si può impugnare la cartella dopo la sentenza che rigetta il ricorso sull’accertamento

Se il contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento ed il ricorso è stato rigettato, non si può impugnare la cartella esattoriale notificata successivamente per la stessa controversia.

Ciò in quanto si forma giudicato sulla controversia, e la sentenza diventa titolo esecutivo per 10 anni anni.

In questo senso da ultimo la sentenza Sentenza del 14/12/2022 n. 5937 della Corte Tributaria di 2° grado di Roma, secondo cui:

Il contribuente che, a seguito di controllo formale della dichiarazione, proponga istanza di autotutela e poi opponga innanzi al Giudice tributario, unitamente al diniego formato dall’ente impositore, anche la comunicazione preventiva di irregolarità nel frattempo ricevuta, in caso di passaggio in giudicato della sentenza che sancisce l’inammissibilità del ricorso, non può successivamente più impugnare nel merito il ruolo notificatogli con cartella di pagamento.

Questo in quanto, innanzi al Giudice tributario non possono essere riproposte contestazioni della pretesa erariale già infruttuosamente sollevate in un precedente contenzioso.

Le sanzioni 2024 dell’Agenzia delle Entrate

Nel 2024 abbiamo assistito ad una generale revisione delle sanzioni previste dall’Agenzia delle Entrate per gli illeciti o errori in materia di IVA ed IRPEF.

Tra le varie novità ci sono le seguenti per quanto riguarda l’IRPEF:

Omessa dichiarazione: Sanzione fissa al 120% delle imposte dovute. Se non sono dovute imposte, sanzione da 250 a 1.000 euro (possibile aumento fino al doppio per chi deve tenere scritture contabili).

Ritardata presentazione: Se presentata con ritardo superiore a 90 giorni ma entro i termini di decadenza, sanzione del 75% delle imposte dovute. Se non sono dovute imposte, sanzione da 250 a 1.000 euro (possibile aumento fino al doppio per chi deve tenere scritture contabili).

Infedele dichiarazione: Sanzione fissa al 70% con un minimo di 150 euro; aumentata dalla metà al doppio per violazioni con documentazione falsa o operazioni inesistenti, artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente.

Per quanto riguarda invece le sanzioni collegate alle violazioni relative la dichiarazione IVA:

Omessa: Sanzione fissa al 120% con un minimo di 250 euro.

Regime speciali: Presentata entro tre anni, sanzione del 45%.

Presentazione con ritardo: Sanzione del 25% con un minimo di 100 euro.

Infedele dichiarazione: Sanzione del 70% con un minimo di 150 euro; aumento dalla metà al doppio per violazioni con documentazione falsa o operazioni inesistenti. Se la violazione emerge da una dichiarazione integrativa, sanzione del 50% dell’imposta dovuta o 150 euro se non è dovuta imposta.

Avviso di accertamento per la residenza fittizia all’estero

Un avviso di accertamento per la residenza fittizia all’estero può costare molto caro e può risalire fino a 10 anni orsono.

E difatti l’UCIFI Ufficio Contrasto Illeciti Finanziari Internazionali dell’Agenzia delle Entrate ha la possibilità di beneficiare del raddoppio dei termini di decadenza per la notifica dell’accertamento ed il raddoppio delle sanzioni applicabili.

Nel caso di residenza nei paesi black list, spetta al contribuente dimostrare la realtà della situazione di residenza all’estero e pertanto la scorrettezza della pretesa fiscale.

Se il contribuente non ha aderito alla voluntary disclosure (del 2015 o del 2017), nel 2022 potrebbe ricevere un accertamento anche per il 2011.

L’accertamento tramite i movimenti bancari su conto corrente

L’agenzia delle Entrate potrebbe fondare il suo accertamento sulla base dei movimenti su conto corrente della persona, del professionista o dell’impresa.

La Cassazione nel 2020 ha affermato che sarebbe del tutto arbitrario fondare l’accertamento solo tramite i prelievi e i versamenti da conto corrente.

E quindi i prelievi bancari non sono sinonimo di reddito occulto.

Allo stesso modo i versamenti su conto corrente da parte di familiari abbienti non rappresentano necessariamente compensi non dichiarati.

Nel caso di accertamenti di questo tipo, occorrerà valutare su chi grava l’onere della prova delle causali di quelle movimentazioni, se la prova grava sul fisco o sul contribuente, ed in seguito valutare la strategia per impugnare o procedere ad accertamento con adesione.

Presunzione di evasione per la differenza tra prelievi e versamenti

Ma cosa succede se la Guardia di Finanza o l’Agenzia delle Entrate ravvisano una incongruenza tra prelievi e versamenti?

Le indagini bancarie rientrano nel novero dei poteri di accertamento dell’agenzia delle Entrate e costituiscono, senza dubbio, un esempio complesso dell’attività accertativa, soprattutto laddove si utilizzino ai fini accertativi le movimentazioni bancarie del contribuente verificato.

E infatti, l’automatismo «prelevamenti – versamenti = componenti positivi di reddito non dichiarati» si fonda su una presunzione legale relativa (Cassazione 7259/2017, 2752/2009 e 25142/2009), che ammette prova contraria del contribuente.

Quest’ultimo, dovrà provare di «aver tenuto conto dei versamenti o dei prelevamenti nella determinazione della base imponibile ovvero che sia estranei alla produzione del reddito».

In difetto di tale prova, è legittimo l’operato dell’ufficio.

L’accertamento per gli italiani residenti all’estero

L’agenzia delle Entrate potrebbe inviare l’avviso di accertamento all’italiano residente all’estero.

La notifica può avvenire con l’invio dell’atto all’indirizzo comunicato all’iscrizione all’AIRE oppure frequentemente con l’invio della raccomandata al vecchio indirizzo in Italia: in quest’ultimo caso sarà da valutare la regolarità della notifica anche alla luce dell’eventuale ritiro dell’atto da parte di familiari conviventi.

Se sei emigrato verso un paese considerato “paradiso fiscale” anche detto “in black list” vale la presunzione legale secondo cui sei fittiziamente residente all’estero, sta a te dimostrare che così non è.

E’ considerato paradiso fiscale anche la Svizzera (meta preferita da 650 mila expat italiani) nonostante la confederazione elvetica dal 2015 aderisca agli scambi di informazioni e pertanto sia pienamente collaborativa.

L’accertamento fondato sul raffronto tra gli incassi e gli onorari minimi previsti dalle tabelle delle tariffe professionali

L’agenzia delle Entrate potrebbe fondare il suo accertamento sulla base della non congruità delle somme che il  professionista si è fatto pagare, a fronte di quelli che sono gli onorari minimi previsti per la professione (che si tratti di avvocato, ingegnere, architetto, geometra, commercialista, consulente del lavoro …).

A seguito dell’abrogazione delle tariffe con la legge Bersani ricordiamo che i “minimi” non esistono più, ma restano le tabelle ministeriali.

Dunque il professionista può applicare tariffe più basse, e l’accertamento fondato solo su un simile calcolo sarebbe illegittimo.

L’accertamento fondato sulla indeducibilità dei compensi erogati al coniuge

L’agenzia delle Entrate potrebbe fondare l’accertamento sul fatto che i compensi pagati al coniuge non sono deducibili.

Ebbene il divieto di dedurre i compensi erogati a moglie o marito vale solo per i lavoratori dipendenti, titolari di co.co.co. o per le collaborazioni occasionali.

Se invece i compensi sono erogati al coniuge esercente arti o professioni le somme sono deducibili.

Accertamento ed iscrizione a ruolo in Agenzia Riscossione

L’atto di accertamento dell’Agenzia delle Entrate non definitivo non è immediatamente utilizzabile per compiere atti esecutivi, almeno in parte.

E difatti l’accertamento non definitivo, viene iscritto a ruolo inizialmente per 1/3 degli importi dovuti a seguito dell’accertamento.

Se il contribuente presenta ricorso in Commissione Tributaria contro l’avviso di accertamento, se il giudice non dispone immediatamente la sospensione dell’efficacia esecutiva dello stesso, allora le regole cominciano a cambiare a seconda dello stato del processo tributario.

Dopo la sentenza della corte tributaria di 1° grado (ex provinciale), l’iscrizione a ruolo avviene fino ad 1/2 dell’importo oggetto di accertamento, come eventualmente rideterminato in sentenza.

Dopo la sentenza della corte tributaria di 2° grado (ex regionale), l’iscrizione a ruolo avviene fino ad 2/3 dell’importo oggetto di accertamento, come eventualmente rideterminato in sentenza.

L’accertamento per i comportamenti antieconomici

I comportamenti antieconomici e che possono dare luogo ad accertamenti sono quelli:

1) posti in essere dall’imprenditore;

2) e che non sono diretti a ridurre i costi o aumentare i ricavi, ma solo diretti a pagare meno tasse.

L’Agenzia delle Entrate compie dunque una valutazione di merito delle scelte dell’imprenditore, per accertare se vi è una elusione o un abuso del diritto, consistente nell’aver compiuto attività formalmente regolari, ma dirette solo a ridurre il carico fiscale.

I comportamenti antieconomici sono spesso di difficile accertamento, ed anche in sede di impugnazione dell’accertamento, al Giudice sarà richiesta una anomala analisi di merito di ciò che all’imprenditore conveniva o meno fare anni addietro, quanto il comportamento antieconomico è stato posto in essere.

Accertamenti sui maggiori ricavi senza tenere conto dei costi

In caso di accertamento sui ricavi realizzati da una impresa, l’Agenzia delle Entrate è tenuta a dare conto ai dei maggiori costi ragionevolmente sostenuti dall’impresa.

E difatti, se si contesta un ricavo di un’impresa, non si può ignorare che ci saranno state delle spese sostenute per realizzarlo.

La prova dei maggiori costi sostenuti, secondo la Corte Costituzionale con la sentenza del 2023, può essere data con la prova presuntiva derivante dall’incidenza percentuale media dei costi che l’impresa sostiene per realizzare i ricavi (es. se i margini aziendali sono del 20% si presume un costo della produzione dell’80%).

Il contenzioso su questi accertamenti, che può nascere sui prelievi bancari ingiustificati effettuati dall’imprenditore, permette di ridurre significativamente l’importo accertato.

Accertamenti per compensi degli amministratori come comportamento antieconomico

I compensi degli amministratori spesso vengono presi a riferimento come comportamento antieconomico dell’impresa.

E difatti spesso accade che l’Agenza delle Entrate contesti l’eccessivo compenso all’amministratore quale comportamento antieconomico.

Raramente un accertamento simile ha senso, e difatti non è chiaro il motivo per cui l’impresa dovrebbe “calcare la mano” sul compenso dell’amministratore per ridurre l’IRES al 27,5% per far pagare un’IRPEF di solito ben superiore all’amministratore.

Un caso potrebbe essere l’amministratore che non versa poi l’IRPEF di sua competenza, ma si tratterebbe di una condotta di evasione non addebitabile all’impresa che ha posto in essere il comportamento antieconomico.

Accertamento per trading online all’estero: cosa fare?

In arrivo migliaia di amici accertamento per i tanti che hanno fatto trading online con le varie piattaforme all’estero e quindi spesso a Cipro o in Grecia

Investitori che non hanno tenuto conto del fatto che questi intermediari finanziari all’estero non si occupano degli adempimenti fiscali secondo il regime amministrato previsto in Italia, e quindi sostanzialmente non so stare comunicata al fisco italiano le informazioni necessarie relativamente a quella operatività.

Questo include la dichiarazione dei redditi di capitale e dei capital gain, la compilazione del Quadro RW per comunicare gli investimenti detenuti all’estero, e il pagamento dell’Imposta sulle Attività Finanziarie all’Estero (Ivafe).

Molti clienti italiani di piattaforme estere hanno ricevuto questionari o inviti a comparire dagli uffici provinciali per discrepanze nelle dichiarazioni dei redditi. Queste discrepanze sono spesso identificate tramite scambi di informazioni fiscali automatici tra paesi, secondo varie direttive e accordi internazionali.

Il problema principale qui peraltro sta nel fatto che le informazioni ottenute attraverso lo scambio d’informazioni sono sintetiche ed il Fisco pretende di tassare  dell’intero ammontare dei pagamenti lordi, senza considerare le spese o le minusvalenze o anche il capitale versato inizialmente dall’investitore. 

In questi casi occorrerà cercare di definire la controversia con un accordo con il fisco quindi con un accertamento con adesione ed in mancanza di un ragionevole accordo sarà necessario portare la lite in corte di giustizia tributaria per ottenere quantomeno che non vengano tassati gli importi del capitale inizialmente investito.

Accertamento su operazioni soggettivamente inesistenti

Le operazioni soggettivamente inesistenti sono quelle in cui:

1) una transazione commerciale c’è (es- cessione di beni o fornitura di servizi);

2) Ma il fornitore reale è diverso da quello che ha emesso la fattura.

Una operazione soggettivamente inesistente può essere diretta a gonfiare i ricavi o ad abbattere i costi, e pertanto l’Agenzia delle Entrate potrebbe accertare in capo all’impresa maggiori utili, escludendo la deducibilità dei relativi costi.

Le operazioni soggettivamente inesistenti pongono altresì problemi in materia di IVA, Imposta sul Valore Aggiunto, dove la deducibilità presta il fianco alle cd. “Frodi carosello”, dove il soggetto che ha portato in detrazione la fattura soggettivamente inesistente potrebbe essere parte della frode (dovrebbe dare prova di aver ignorato senza sua colpa la natura fraudolenta dell’operazione).

La notifica dell’accertamento prima del 60 giorni

L’avviso di accertamento non può essere notificato prima del 60 giorni dal momento in cui l’Agenzia delle Entrate ha consegnato copia del verbale delle operazioni di controllo.

Ciò in quanto entro 60 giorni il contribuente può presentare le sue osservazioni e formulare richieste che l’Agenzia delle Entrate ha l’obbligo di prendere in considerazione, prima di notificare l’accertamento.

In questo senso si è pronunciata anche la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, secondo cui l’inosservanza del termine di 60 giorni comporta l’illegittimità dell’accertamento per violazione del contraddittorio anticipato e per violazione dello Statuto del Contribuente.

Accertamento sulle società di comodo UE

Le società di comodo sono quelle che non esercitano veramente attività economica ma servono alle società per spostare gli utili da un paese all’altro dell’UE Unione Europea.

Per le società di comodo è in arrivo la direttiva ue, destinata ad essere recepita in Italia nel 2023 diretta a contrastare il fenomeno delle shell company e a impedirle di sfruttare i benefici derivanti dalle diversità di sedi tra stati membri UE.

Accertamenti alle società a ristretta base azionaria

Le società a ristretta base azionaria sono quelle con pochi soci, legati tra loro da vincoli di parentela o amicizia.

Quando l’Agenzia delle entrate accerta maggiori redditi extra bilancio in favore della società (es. incassi in nero, false fatture passive) può notificare l’accertamento anche ai soci.

Ciò in quanto vale la presunzione per cui in una piccola società di famiglia o tra amici, i maggiori utili siano stati distribuiti.

La difesa in caso di avviso su società a ristretta base azionaria

Per far valere l’accertamento nei confronti dei soci personalmente è necessario che i soci non siano più più di 3, che questi siano legati da vincolo di parentela o amicizia, e che questi soci abbiano un potere di controllo diretto sulla società.

L’avviso di accertamento dovrebbe essere emesso nei confronti della società e poi una volta definite le impugnazioni dovrebbe essere emesso l’accertamento nei confronti dei soci.

Se vale il principio della presunzione di distribuzione degli utili tra soci, la presunzione può essere superata provando da parte del socio la totale estraneità alla gestione dell’impresa o il totale reinvestimento degli utili.

L’accertamento fondato sulla fama e sulla notorietà del professionista o dell’artista

L’agenzia delle Entrate potrebbe fondare l’accertamento sulla fama e sulla notorietà del professionista o dell’artista.

Tuttavia, la fama o la notorietà del professionista o dell’artista, non configura argomento “grave preciso e concordante” utile a giustificare l’accertamento di un maggio reddito in assenza di altri elementi probatori.

In questo senso la Corte di Cassazione nel 2019 con riferimento al caso di un noto maestro d’orchestra.

Accertamento per la deduzione degli interessi passivi per i soggetti IRES

I soggetti IRES possono dedurre gli interessi passivi sostenuti per i finanziamenti in essere?

La situazione per gli oneri finanziari è diversa rispetto ai soggetti IRPEF, per i quali la normativa è chiara.

La risposta della giurisprudenza per l’IRES non è univoca dovendo distinguersi a seconda che ricorra l’inerenza o meno della spesa, in quanto riferita a beni “produttivi” o meno.

Tale valutazione riguarda anche gli interessi di mora corrisposti per il ritardato pagamento di somme derivanti da accertamenti o rateizzazioni su cartelle esattoriali.

Il contribuente fallito può impugnare l’avviso di accertamento?

Può capitare che il contribuente fallito abbia interesse ad impugnare un avviso di accertamento mentre il Curatore Fallimentare non ha interesse.

Le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 11287/2023 hanno affrontato la questione riguardante la legittimazione attiva del contribuente dichiarato fallito per impugnare gli avvisi di accertamento notificati dall’agenzia delle Entrate durante il fallimento, relativi a periodi d’imposta precedenti all’apertura della procedura e che potrebbero generare crediti concorsuali.

Secondo la decisione delle Sezioni unite, il debitore ha la legittimazione a farlo, anche se il curatore non si è mosso in tal senso, indipendentemente dal fatto che l’inerzia del curatore sia stata o meno volontaria.

Accertamento Agenzia delle Dogane per l’ISI Imposta sugli Intrattenimenti

A partire dal 2023 diventa concreto il rischio di subire un accertamento per l’ISI, ovvero la tassa sugli intrattenimenti quali Calciobalilla, Biliardino, Biliardo, Jukebox e giostrine, ma anche per le “ruspe” acchiappa dolci.

Si tratta dei giochi senza vincita in denaro, la cui competenza ricade sull’Agenzia Dogane e Monopoli.

Questa tassa è fissata all’8% da calcolare sui dei minimali forfettari di € 3800 per i biliardi, € 510 per calciobalilla, biliardini, freccette, pugnometro e calciometro, € 540 per i jukebox, € 1090 per i flipper.

Gli importi forfettari dell’ISI resteranno validi fino all’adozione da parte del MEF delle basi imponibili definitive.

Qualora invece tu abbia ricevuto un altro atto, come cartelle esattoriali, pignoramenti, preavvisi di fermo da parte dell’Agenzia Entrate Riscossione, allora leggi questo nostro post.

Se hai ricevuto un accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate e cerchi uno studio di avvocati cassazionisti puoi contattarci per una prima consulenza senza impegno.


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